Matematica e PC

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dott. Carlo Schillaci

Sempre più spesso la reazione degli studenti allo studio della matematica è “A che servono queste cose?”, manifestando così disinteresse verso la matematica. Sentimento acutizzato dal dilagare del digitale! Calcolatrici, computer e app per smartphone sono perfettamente in grado di eseguire quelle stesse operazioni che il docente chiede di eseguire “a mano”. Cerchiamo di fare una breve riflessione su questi temi.

Effettivamente, si potrebbe fare una profonda riflessione su quali siano le conoscenze matematiche più appropriate per gli studenti una volta fuori dalla scuola, con particolare attenzione agli studi futuri, al lavoro e alla vita adulta in generale. Purtroppo, non si va lontano finché si rimane nell’orizzonte dell’utilità: la matematica che si vede in azione nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana è ridotta a semplici calcoli, basi della statistica descrittiva, nozioni elementari di logica. In alcuni ambiti lavorativi, ad esempio ingegneristici, è richiesta una capacità di calcolo più avanzata (integrali, equazioni differenziali) ma si tratta sempre di calcolo eseguibile anche con l’aiuto di uno strumento digitale. Un banale esempio è quello di un cassiere al supermercato: la cassa calcola automaticamente il totale, l’IVA, eventuali sconti e l’importo del resto. A cosa servono le conoscenze matematiche che il cassiere ha acquisito a scuola? A volte gli artigiani, come falegnami e muratori, nelle loro opere si imbattono in questioni di carattere geometrico e si rimane a bocca aperta nel vedere come efficacemente e velocemente siano in grado di risolverle anche senza avere conoscenze di geometria astratta.

L’insegnamento della matematica potrebbe allora tranquillamente fermarsi al secondo anno di scuola secondaria di secondo grado!

Ma ci chiediamo mai dell’utilità dell’insegnamento della letteratura italiana o della filosofia? Forse la prima cosa che un docente di matematica dovrebbe fare è motivare verso lo studio della matematica indipendentemente dall’utilità della stessa. Una analogia potrebbe essere l’allenamento in palestra: è utile? Certo, se si aspira a partecipare a gare mondiali di sollevamento pesi è necessario un allenamento costante. È comunque noto a tutti il detto “mens sana in corpore sano” e quindi, anche se non aspiriamo a sollevare pesi eccoci tutti ad allenarci in sala attrezzi, a seguire corsi e a fare corse alle 6 del mattino sotto una pioggia battente. La matematica è anch’essa un allenamento che per alcuni è necessario per ciò che dovrà fare in futuro (non fosse altro che per insegnarla!), ma per tutti deve essere parte di quel bagaglio di cultura generale che ogni buon cittadino deve possedere e che, al momento opportuno, tornerà utile in un contesto di vita quotidiana o nella lettura di un grafico o nell’analisi di alcuni dati.

E pur vero che il sollevamento pesi, in quanto disciplina sportiva, non ha una utilità specifica: se proprio è necessario sollevare un grosso peso, ad esempio in un cantiere, basterebbe usare una gru… Che senso ha quindi faticare per raggiungere competenze applicabili soltanto sporadicamente e comunque eseguibili da un’applicazione o da un software?

Arriviamo quindi al cuore del messaggio: se anche la matematica scolastica può avere delle applicazioni (che alcuni docenti si sforzano disperatamente di trovare, ad esempio nei cosiddetti compiti di realtà) lo studio della matematica ha il compito di allenare la mente al rigore logico, alla capacità di ragionamento, alla sintesi e all’analisi. Si tratta di competenze assolutamente trasversali e “utili” ma non evidenti. La matematica non è sempre visibile ma è fondamento invisibile della vita pratica, della cultura e della tecnologia. Anche a chi ripone la propria fiducia nel digitale bisogna ricordare che quelle app e quei software sono stati programmati da qualcuno che la matematica la conosce a livelli estremamente elevati. E se la cultura matematica regredisce verranno a mancare quelle competenze in grado di elaborare software efficienti e funzionali e, paradossalmente, aumenterà la dipendenza dagli strumenti informatici che nessuno però saprà più migliorare ed adattare alla realtà in cambiamento.

Da qui un’altra riflessione sul ruolo delle applicazioni informatiche nella didattica. Alcuni, specialmente in periodo di pandemia, ha gridato allo scandalo per l’uso di certe app che semplicemente fotografando un esercizio ne forniscono soluzione e procedimento, falsando così le valutazioni a distanza (come se gli studenti non fossero in grado di trovare escamotage anche in presenza…). Forse bisognerebbe inserire queste app nella pratica didattica, chiaramente, in maniera critica: spiegare i procedimenti mostrati dall’app, analizzarne criticità, proporre miglioramenti. Si tratta di attività che alla fine richiedono una conoscenza approfondita dei concetti in gioco. Insegneremo così allo studente ad usare criticamente gli strumenti digitali.

Infine, una nota di amarezza: ad alcuni ragazzi, prima ancora dell’uso critico, è necessario insegnare a usarli gli strumenti digitali. Nonostante lo smartphone sia quasi un’appendice del loro corpo o comunque strumenti insostituibili della loro quotidianità, non ne conoscono le potenzialità e gli aspetti tecnici necessari per un uso consapevole dello stesso. Per non parlare della ancora più diffusa mancanza di dimestichezza con il computer o l’uso della posta elettronica.

Forse queste scarsa attitudine verso il digitale è figlia anche di una scarsa cultura matematica?

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